la scultura negli scritti d'arte - Università degli Studi di Palermo

L'école de Paris et celle de Rome exigent cet exercice, et facilitent aux éleves
cette ..... Haskell e Penny notano che «la difesa dei romani da parte del Piranesi
non ...... Le peintre change, corrige, refait à son gré sur la toile; au pis aller, il la ...

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La scultura nella letteratura artistica del Settecento.
Dopo essere stata pressoché appiattita sulla pittura nel XVII secolo,
in una sostanziale identificazione che vedeva nei principi delle due arti
esclusivamente la mimesis, la scultura tornò alla ribalta nella letteratura
artistica del Settecento[1]. Le ragioni di questo rinnovato interesse
possono ricondursi, fondamentalmente, a due importanti aspetti, quali il
rinnovato interesse per le antichità[2], che si manifestò con una notevole
ammirazione per le statue antiche, nonché gli studi sulle modalità della
conoscenza riconducibili a questo filone interpretativo cui anche
l'estetica del periodo faceva riferimento che, alla luce di nuove
esperienze scientifiche, videro nel tatto un canale preferenziale rispetto
alla vista e ritennero conseguentemente le opere scultoree meglio
conoscibili rispetto a quelle pittoriche. Spesso questi elementi si
intrecciano e, accanto ad essi, ne affiorano altri relativi ad argomenti
molto anteriori, come la Querelle des Anciens et des Modernes o il
cinquecentesco Paragone tra pittura e scultura[3].
Era stata appunto l'eco del Paragone a informare, nel Seicento, la
scarsa fortuna della scultura, che, quando non equiparata alla pittura nel
fine comune, l'imitazione della natura[4], non fu comunque oggetto di
trattazioni specifiche, salvo quella di Orfeo Boselli[5]; va peraltro
ricordato che il pittoricismo dello stile barocco e la contemporanea
poetica della meraviglia non potevano che trovare affinità con gli effetti
illusivi creati dalla pittura[6].
Tale ruolo subalterno della scultura fu sottolineato nel 1759 dal
Conte di Caylus[7], che addebitò il silenzio che aveva precedentemente
circondato questa espressione artistica ad alcuni elementi particolari alla
sua specificità e, nelle Réfléxions sur la sculpture[8], non mancò di
sottolineare quanto fosse più difficile giudicare un'opera scultorea
piuttosto che un dipinto:
Plusieurs Amateurs[9] des Arts m'ont paru surpris de ce qu'on n'a
presque point écrit sur la Sculpture, tandis que le plus petit Poëte et le
plus médiocre Auteur se croit en état de décider souverainement du mérite
des Peintres, et de parler de toutes les parties de la Peinture: les raison
d'un silence si profond, et d'un tel excès de réfléxions pretendues, se
trouvent dans l'essence des deux Arts [...]. La Peinture frappe plus les
sens, et le secours de la couleur lui donne le moyen d'être plus approchée
de la Nature; non-seulement ses richesses et son éclat la répandent
davantage dans le monde et la font accueillir, mais les moyens généraux de
son exécution sont si familiers et si connus, que tous les hommes la
regardent comme une propriété [...]. La Sculpture plus renfermée dans ses
atteliers, moins en vuë, plus difficile à mouvoir, plus lente dans ses
opérations, et moins étendue dans ses compositions, non seulement racourcit
et resserre, mais obscurcit la carrière toujours ouverte, par rapport à la
Peinture, aux esprits légers, aux petites tetes, enfin à nos Juges à la
mode: La facilité de parler, et le silence sont donc dépendans de la nature
de chaucun de ces Arts[10].
La pittura, dunque, risultava più facilmente apprezzabile anche grazie
al colore: si trattava di un argomento che, sia nell'ambito del Paragone
che in tutte le altre opere ad essa dedicate, l'aveva posta su un piano di
preminenza. Nel caso di Caylus, però, tale prerogativa non veniva
considerata un pregio ad essa peculiare e, conseguentemente, il fatto che
la scultura non fosse caratterizzata dal colore era ritenuto,
semplicemente, una sua caratteristica e non un difetto[11].
Cominciava a delinearsi il riconoscimento di un linguaggio espressivo
proprio a ciascuna espressione artistica. Winckelmann, nel 1764, avrebbe
affermato: «Il colore contribuisce alla bellezza ma non è la bellezza,
bensì esso mette soprattutto in risalto questa e le sue forme. Ma poiché il
colore bianco è quello che respinge la maggior parte dei raggi luminosi e
che quindi si rende più percepibile, un bel corpo sarà allora tanto più
bello quanto più è bianco»[12].
Caylus non fu, quindi, l'unico a ritenere che la scultura non venisse
penalizzata dalla mancanza del colore; Hemsterhuis, nella sua Lettera sulla
scultura del 1769, definiva il colore una «qualità accessoria»[13] dei
corpi. Analoga la posizione di Diderot, peraltro un appassionato del
colore[14]:
Il me semble [...] qu'il est plus difficile de bien juger de la
sculpture que de la peinture [...]. Il n'y a presque qu'un homme de l'art
qui puisse discerner, en sculpture, une très-belle chose d'une chose
commune [...]. Une grande figure, seule et toute blanche; cela est si
simple. Il y a là si peu de ces données qui pourraient faciliter la
comparaison de l'ouvrage de l'art avec celui de la nature. La peinture me
rappelle, par cent côtés, ce que je vois, ce que j'ai vu. Il n'en est pas
ainsi de la sculpture. J'oserai acheter un tableau sur mon goût, sur mon
jugement. S'il s'agit d'une statue, je prendrai l'avis de l'artiste[15].
Si riapriva, in qualche modo, il dibattito che nel Cinquecento aveva
coinvolto artisti e letterati a proposito del paragone tra scultura e
pittura. Le parole di Diderot ma anche le Réflexions di Caylus, la Lettera
di Hemsterhuis non furono infatti un caso isolato; dopo essere stata così
scarsamente trattata nel Seicento, la scultura venne decisamente rivalutata
e fu argomento di numerose opere nel corso del XVIII secolo ed oltre,
seguendo lo svolgersi dei gusti e delle diverse correnti culturali[16],
fino ad essere pienamente equiparata alla pittura in dignità e autonomia di
espressione.
Lo si nota nel discorso preliminare di D'Alembert all'Encyclopédie:
«Al sommo delle arti di imitazione vanno collocate la pittura e la
scultura, ove l'imitazione è più aderente agli oggetti che rappresenta e
parla più direttamente ai sensi»[17]. Sia Batteux che Lessing,
implicitamente, dichiararono equivalenti le due arti: l'uno
nell'accomunarle, tra «le belle arti per eccellenza», a musica, poesia e
danza[18]; l'altro precisando: «con il termine pittura intendo le arti
figurative in generale»[19], e di fatto trattando, al fine di risolvere il
tema dell'ut pictura poesis, di un gruppo scultoreo. Va d'altra parte
ricordato che al Laocoonte aveva fatto riferimento già Bellori per fare
asserire ad Annibale Carracci: «Li poeti dipingono con le parole, li
pittori parlano con l'opere»[20], esempio che Richardson avrebbe ripreso
per dimostrare la maggiore efficacia rappresentativa delle arti
figurative[21] rispetto a quelle "della parola".
Il rapporto con l'Antico.
Come è noto, nella letteratura artistica del Settecento uno dei temi
maggiormente presenti fu appunto quello del Laocoonte, le cui celeberrime
definizioni winckelmanniane di «nobile semplicità» e «quieta grandiosità»
avrebbero costituito una sorta di manifesto del Neoclassicismo. Il fervore
antiquario, come sopra ricordato, fu uno degli elementi che contribuirono
alla rivalutazione della scultura; del resto erano statue la maggior parte
dei reperti dissotterrati e commercializzati, fenomeno questo che condusse
tra l'altro a una strepitosa proliferazione di falsi, come ben descritto da
Hogarth, che attribuì tale interesse, talora cieco, alla mancata
comprensione dei motivi dell'eccellenza dei Greci, da lui individuata
nell'uso sapiente della linea serpentinata:
...questa causa d'eleganza[22] non essendo stata dopo sufficientemente
intesa, non è maraviglia che tali effetti dovessero comparir misteriosi, e
che avessero tirato gli uomini in una specie di religiosa stima, ed anche
fanatismo per l'opere degli antichi. Né son mancate persone artificiose che
han fatto buon profitto di quelli, i quali un'illuminata ammirazione ha
trasportati all'entusiasmo. Anzi ve ne sono cred'io alcuni che tutt'ora
tirano innanzi un vantaggioso commercio di quelli originali, che sono stati
tanto sfigurati e mutilati dal tempo, che sarebbe impossibile, senza un
paio d'occhiali doppj da' conoscitori di vedere se siano stati buoni, o
cattivi: essi ancor trafficano con delle copie artifiziate in maniera da
imitar l'antico che son capacissimi di far passare per originali. E chi
ardisse di scoprire tali imposture, si troverebbe immediatamente tacciato,
e fatto passare come uno di basse idee, ignorante del vero sublime,
presuntuoso, invidioso[23].
Uno degli elementi che, oltre a favorire «il nuovo risorgimento delle
arti», condussero al rinnovato entusiasmo per le antichità, sarebbe stato
individuato da Cicognara nella scoperta di Ercolano, la quale
portò un entusiasmo di felici innovazioni e curiosità, una brama
d'imitazioni, uno studiare di moltissimi dotti, un proteggere e un animare
di chiarissimi mecenati, che veramente parve svegliare il buon gusto sopito
dell'arte a nuova esistenza. Erano in Roma, in Firenze, in Venezia, e in
molti altri luoghi antichità preziosissime, ma non producevano più
sensazione negli artisti, e solleticavano appena l'ambizione dei
possessori, che già incominciava anche a languire. Le produzioni della
nuova dissotterrata città misero una convulsione generale, e richiamarono a
sentire il pregio delle altre opere di merito superiore che giacevan
sepolte ne' musei, e delle quali tenevasi poco conto[24].
L'entusiastico interesse per le antichità comportò, in virt